mercoledì 19 marzo 2014

Episodio 3: COSTRETTO A VENIRE - RAGAZZO SEMPLICE (e il suo Complesso)

Ecco la canzone della settimana. Stavolta ho deciso di allontanarmi dai tanto amati e proficui anni '80 per deliziarvi con una perla contemporanea, del 2009. L'autore è Ragazzo Semplice ma non lasciatevi ingannare dal nome d'arte perché Ragazzo Semplice si occupa di cose serie, di vitale importanza...e questa canzone ne è l'esempio lampante. L'autore sembra ispirarsi ai grandi cantautori italiani ma anche al pop inglese degli anni '60 (come si evince dalla sua pettinatura).In realtà la mia analisi sarà molto breve dal momento che il testo non lascia spazio ad immagini retoriche ma è assolutamente cristallino.
Ascoltiamo Costretto a Venire:

E ora leggiamo insieme il testo:
(parlato):ogni essere umano è costretto a venire.
 
Ogni uomo è costretto a venire
non c'è niente di male, di immorale o volgare
tutti quanti lo sanno, tutti quanti lo fanno
alcuni vogliono nasconderlo e poi si chiudono in bagno
soffocare il desiderio dell'istinto primordiale
è il peccato più mortale che qualcuno possa fare
solo l'ipocrita può pensare che l'astensione è salutare
e avere poi la presunzione di sapersi controllare

 
Il Ragazzo Semplice ci sta dicendo di assecondare le nostre pulsioni più recondite, di non vergognarci della nostra sessualità. E' ridicolo far finta che queste non condizionino profondamente le nostre vite, critica le scelte ascetiche o presunte tali e ribadisce la condizione di Uomo subordinato al suo istinto. Mi limito a constatare che risulta particolarmente efficace la scelta del verbo costringere del primo verso che rafforza l'idea di inevitabilità del sommo gesto da cui dipendono le sorti dell'Umanità.
 
ma io sono un uomo e son costretto a venire
non dipende da me io dipendo da te
ogni uomo è costretto a venire
è la natura che lo vuole


Ed eccoci al ritornello liberatorio, allegro e scanzonato come chi ha da tempo rinunciato alle convenzioni sociali e al pudore precostituito. Non c'è niente di cui sentirsi colpevoli: viene demandato tutto alla natura e anche alle donne (io dipendo da te è un chiaro riferimente alle donne che, con la loro bellezza, si divertono a tormentare gli animi inquieti degli uomini).

tutto nasce quando scopri che può fare la tua mano
per le prime cento volte non riesci a andarci piano
poi germoglia tutto a un tratto il bisogno dell'unione
contrapporsi all'attrazione è per Dio una delusione

è diffuso ultimamente il pensiero stranamente
che son le stupide persone a voler quello solamente
se così stanno la cose la stupidità è un pregio
che tra tutti i sapientoni oggi incontro sempre meno

Il riferimento alla mano era d'obbligo e in realtà si colloca all'interno di una tradizione già consolidata da personaggioni come Umberto Tozzi (manchi ad una mano che lavora piano) e Lucio Dalla (e con dolcezza è partita la mia mano). Viene citato Dio, e ciò rende quasi mistica la vocazione dell'eiaculatore che viene difesa anche dall'accusa di ignoranza, come se solo le persone incolte si abbandonassero all'amore carnale. Anzi il nostro propone quasi un capovolgimento dei valori dei benpensanti: se così stanno le cose la stupidità è un pregio.

chi odierà queste parole non si aspetti certamente
da parte mia una discussione già da ora gli do ragione
e gli auguro ogni bene e di pensarla come vuole
tanto io continuerò a sorridere all'amore

Il Ragazzo Semplice vuole esporre la sua teoria senza però imporla, (e qui SICURAMENTE il giovane ha in mente Voltaire). Che questa sua serenità interiore derivi proprio dall'essersi posto al di fuori di ogni tabù? Meditate gente, meditate!!!

lunedì 10 marzo 2014

Episodio 2: L'ELEFANTE GAY - ERIKA MANNELLI



Come promesso, ecco una nuova perla per iniziare al meglio questa settimana. Sappiate che questa canzone è riuscita, nel 1984, ad accaparrarsi la 4a posizione nel concorso "L'Ambrogino d'oro" e che, la piccola Erika (ai tempi aveva 7 anni) è ora diventata una gran figa (il che aggiunge preziosità al brano). Il testo è particolarmente impegnativo ed affronta tematiche importanti: l'omosessualità e il disagio di abitare un corpo che non rispecchia la propria identità. Senza contare che l'arrangiamento raggiunge vette altissime recuperando sonorità prog e anche un certa freschezza tipica degli anni '60/'70. Quindi un attento ascolto è doveroso.



Ora che vi siete estasiati passiamo a leggere il testo e a tentarne un'analisi.


uaccadì uaccadù,unghie e smalto rosso
uaccadì uaccadù, zanne di lamè
uaccadì uaccadù, guarda com’è grosso
uaccadì uaccadù, sta arrivando

 Ovviamente è impossibile non notare il uaccadì uaccadù, tipico di molti motivetti '60/'70 nonché precisa citazione del famoso (e presto su questi schermi) brano dei Nuovi Angeli del 1974. Analizzando il testo, scritto da Gianni Greco, troviamo una descrizione che, oltre ad essere molto poetica, richiama subito alla mente l'immagine di Platinette che -sarà un caso? - reinterpreterà questa canzone nel 2005. Notiamo inoltre che il ritmo serrato, a mò di marcia, e la voce altisonante di questo refrain sembra suggerirci la pesantezza dei passi dell'animale.


l’elefante gay con cinquanta nei
sparsi qua e là, che arie che si da
le mutande blu a pois
ciglia finte in su, si sa
non nasconde più la sua
vera identità.
La descrizione continua e si evolve: passa dall'essere prettamente fisica all'aggiungere dettagli psicologici che ci aiutano a ricostruire il personaggio nella sua complessità. La scelta di un abbigliamento appariscente, infatti, rispecchia il volersi mostrare liberamente nella nuova consapevolezza sessuale. Il lungo processo dell'autoaccettazione si è ormai concluso e il nostro elefante non ha più voglia di nascondere le sue inclinazioni e il suo nuovo aspetto. Dal punto di vista fonico notiamo l'insistenza di parole tronche che contribuiscono ad un ritmo cadenzato e smaliziato.


l’elefante gay, non più lui ma lei,
gli occhi dolci fa con ambiguità.
il vizietto lui ce l’ha
con il giudizio altrui ci fa
un gioiello per la sua
femminilità
elefante gay,che simpatico che sei.
Con estrema semplicità apprendiamo che il nostro elefante ha subito un intervento chirurgico per la modificazione fisica del suo sesso. Continua, come nella strofa precedente, l'insistenza delle rime in "a", vocale aperta per eccellenza e dunque portatrice di una sfumatura di allegria che sottende tutto il testo. Da notare che le uniche rime a cambiare sono quelle in coppia alla parola gay, che nel testo rima con nei, lei, ok(ay), sei, e ciò, ovviamente, enfatizza la centralità del concetto di omosessualità che vuole essere trattato con leggerezza ma anche con orgogliosa rivendicazione.


l’elefante gay, ora è tutto ok
la virilità l’ha attaccata al tram
con le orecchie lui ci fa
deltaplani e poi si dà,
svolazzando, a chi gli va
con avidità
elefante gay, che simpatico che sei
Questa strofa è decisamente la più dinamica: abbiamo svariati riferimenti ad immagini di movimento o a mezzi di trasporto (tram, deltaplani, svolazzando). Da notare il rapporto allitterante tra due parole-chiave della strofa, ossia virilità/avidità, che conferisce una sfaccettatura erotica di un certo rilievo (anche se di dubbia eleganza) che verrà poi ripresa e ampliata nella strofa successiva.
il vizietto lui ce l’ha,
si distende sui lillà
se gli piaci poi ti fa:
- “bello vieni qua!”
elefante gay,che simpatico che sei 
In questa strofa l'immagine dei lillà ci riporta sia a un certo tipo di casette canadesi con tanto di pesciolini, ma anche a tutta una tradizione poetica in cui l'intreccio amoroso si conclude in un contesto bucolico. (E penso - ovviamente - alle pastorelle della prima letteratura in lingua romanza ma anche ai film per adulti di ambientazione agreste - che forse rendono meglio l'idea- ). Devo aggiungere che è particolarmente d'effetto l'inserimento del discorso diretto che ci fa visualizzare subito la nostra elefantessa sensuale e ammiccante sdraiata sul prato nell'atto di sedurre un bel maschione di elefante.

martedì 4 marzo 2014

Episodio 1: CHE BRUTTO AFFARE - JO CHIARELLO

L'idea di questo Blog è quello di creare una piccola biblioteca di perle musicali.
Ogni settimana posterò una canzone brutta. Dopo averla ascoltata insieme leggeremo il testo che tenterò di analizzare nei suoi aspetti retorici e di significato.



La canzone con cui voglio partire è una canzone alla quale - e i miei amici lo sanno bene - sono molto legata, si tratta di CHE BRUTTO AFFARE, canzone presentata nel Sanremo 1981 da una giovanissima (e decisamente non scaramantica) Jo Chiarello, raggiante nel suo abito viola.


Il testo, scritto nientepopo'dimenoche da Franco Califano con l'aiuto di Angelo Varano, sembra , fin dalle prime battute, voler aspirare alla più alte vette del trash. Ma leggiamolo:

 Che brutto affare,
ti amavo di un amore nucleare
ed ascoltavo senza contestare
le palle che sapevi raccontare,
io ti consideravo un superman
ma non sei neanche un man, sce-mo,
non sei nemmeno la metà di un man.

Fin dalla prime parole notiamo il carattere profondo del testo: il verbo all'imperfetto ci fa capire che l'amore è ormai finito mentre l'aggettivo nucleare è un chiaro segnale dell'introspezione e dell'intimità di questo sentimento. La donna si fidava ciecamente del suo amato ma questa fiducia era malriposta, l'idealizzazione dell'amante porterà infatti ad una cocente delusione. Notiamo l'aggettivo scemo alla fine di un verso ipermetro, a voler enfatizzare questa particolare caratteristica dell'uomo che straripa e fluisce oltre il testo. L'aggettivo rappresenta, infatti, il punto centrale della delusione amorosa, insieme al binomio superman / man che può richiamare alla mente un uomo in slippini rossi e calzamaglia blu ma anche - addirittura - Nietzsche, d'Annunzio o Freud.

 Che brutto affare
l'aver sbagliato in pieno a valutare,
sei uno scoppiato da dimenticare,
pensavi fossi un'oca da spennare
piuttosto il pollo l'ho pelato io,
ci son caduta un po', sce-mo
ma adesso il gioco lo comando io.

La seconda strofa aggrava il motivo della fiducia tradita perché la donna qui definisce il suo amato come un fraudolento: ha tentato di ingannarla (voleva spennarla) e questo lo rende non solo un traditore, ma, nello specifico, un traditore-verso-chi-si fida - Dante l'avrebbe quindi fatto ghiacciare nel Cocito- ma, fortunatamente, la donna riesce a capire per tempo l'inganno e capovolge la situazione. Come effetti retorici notiamo sicuramente l'allitterazione del suono p presente in tutta la strofa. Insistenza fonica che potrebbe voler sottolineare il tono di scherno della donna.

 Che brutto affare,
non m'hai insegnato neanche a far l'amore,
capisco adesso che non ci sai fare,
parlavi bene e razzolavi male. 
Io ti consideravo un superman
ma non sei neanche un man, sce-mo,
non sei nemmeno la metà di un man. 

E' palese che come rincaro alla sua invettiva, la donna voglia ledere il maschio in ciò che egli ha di più caro: la sua virilità. Dalla citazione proverbiale intuiamo che l'uomo in questione amava vantarsi - ingiustificatamente, pare - delle sue prestazioni. Notiamo qui le rime imperfette affare/amore e fare/male che rappresentano un'eccezione in relazione alle altre strofe (tutte monorime in -are). Probabilmente l'autore vuole in questo modo farci cogliere lo scarto ineliminabile che esiste tra il bisogno d'amore (e la sua idealizzazione) e la dura realtà che ci mette di fronte ad esperienze demotivanti.