venerdì 19 agosto 2016

EPISODIO 19: ANDIAMO A COMANDARE - Fabio Rovazzi

Alle soglie dell'ultima decade di agosto io inizio a tirare le somme di queste vacanze: Si sa che da sempre l'accoppiata estate/musica offre tantissimi spunti di riflessione. Per molti di noi l'estate è un momento di svago (Un'estate al mare - Giuni Russo), di sport estremi (Pinne, fucile ed occhiali - Edoardo Vianello), di dubbi amletici (Ignudi fra i nudisti - Elio e Le Storie Tese), di rimpianti (L'estate sta finendo - Righeira), di disagio (Odio l'estate - Martino Bruno) eccetera eccetera... Insomma ognuno attribuisce alla bella stagione la propria sfumatura e accorda i pomeriggi assolati alle armonie del proprio animo. Almeno così dovrebbe essere, ma non sempre è possibile: puntualmente laggentechehailpotere (Sveglia, sveglia!), ossia quel pericoloso clan formato da meschini capovillaggi, animatori, gestori di bar e discoteche e preadolescenti invasati, pretende di decidere quale sarà il vostro umore per tutta l'estate. E questa estate ha due sole sfumature: Sofia - Alvaro Soler e Andiamo a comandare (Fabio Rovazzi). Ora, per pudore tralascerei per un attimo i ritmi latini e passerei al fenomeno della primavera-estate 2016.


Fabio Rovazzi è un ragazzo di Lambrate che ha talento nel videomaking e molta autoironia. Il suo successo stratosferico prende le mosse dallo zoccolo duro degli Axfedisti  che ha alle spalle (i seguaci di J-Ax e Fedez), cui aggiunge una manciata di pseudoindie convertiti ala nobile arte del trash. La sua canzone è apparentemente un motivetto orecchiabile e sconclusionato...ma non è solo questo! Ormai lo sapete che non è mai "solo" questo! Passiamo all'ascolto:
             
                                                      ANDIAMO A COMANDARE

Ma guardi Signor Rovazzi
Ho in mano qua la sua cartella
E devo dirle che tra tutti i valori
Le è salito l'andare a comandare...
Mi spiace

L'imbarazzante cameo di Fedez nel video di Rovazzi è  in realtà un chiaro riferimento all'inferno dantesco, ma andiamo con ordine: Nel video del singolo Non c'è due senza trash, Fedez aveva costretto il povero Rovazzi a interpretare la parte di un ignavo dell'antinferno - facendolo correre nudo e senza motivo - con la scusa di citare i Blink di What's my age again?. Qui Rovazzi si vendica facendo interpretare a Fedez un inquietante Minosse che diagnostica la pena attorcigliando lo stetoscopio. Ma restiamo sul pezzo:

Ho un problema nella testa funziona a metà
Ogni tanto parte un suono che fa
 (musica da ballare con le mani in aria)
E ogni volta che mi parte, situa imbarazzante
Come quella volta che stavo al ristorante e
"Posso offrirti da bere?"
Lei dice
"Va bene"
Solo che quando le passo il bicchiere
(vedi sopra)

Rovazzi ci parla di un disturbo molto delicato e ancora poco studiato: una semiparesi cerebrale che causa allucinazioni sonori e crisi epilettiche. Purtroppo questa patologia rende più difficile al nostro amico rapportarsi con il mondo e in particolare con il gentil sesso. Per un approfondimento su questioni delicate come queste consiglierei ai nostri lettori di recuperare l'episodio dedicato a Io SONO UNA SEDIA, di Juda Stronzlover, che rappresenta la felice testimonianza di chi, tra mille difficoltà, è riuscito ad accettare i propri deficit e a ritrovare un'identità sociale. Stilisticamente apprezziamo l'introduzione del discorso diretto e l'utilizzo di abbreviazioni (situa per situazione) che danno una connotazione giovanile e spontanea all'intero brano.

È una malattia
È pericolosa
Statemi lontano, è contagiosa!

Informare e promuovere la prevenzione è importante. Rovazzi ha provato ad avvisarci ma il suo messaggio è stato ignorato dalla ggentechehailpotere di cui sopra ed ora pagheremo i rischi del contagio.(Oltre a quelli  causati da rettiliani, antivaccinisti, antibioticodipendenti e fruttariani: è veramente un mondo difficile).

Non so se son pazzo
O sono un genio
Faccio i selfie mossi
Alla Guè Pequeno
Non mi fumo canne
Sono anche astemio
Io non faccio brutto
Ma...

Il riferimento a Gue Pequeno nasconde una riflessione profondissima sulla società attuale. L'aneddoto è questo: due youtubers incontrano per strada il rapper, di cui sono fan e chiedono un selfie. Per tutta risposta il rapper fa quello che i rapper devono fare per contratto: fare lo stronzo, essere scorbutico, avere la faccia da cattivo, sopravvivere al Bronx, scattare la foto senza preoccuparsi di come sia venuta ecc ecc. I due youtubers ci restano molto male e sputtanano pubblicamente l'arroganza di Gue. Morale della favola: Quando gli uomini con i followers incontrano un uomo con i fan, l'uomo con i fan è un uomo mosso! Per il resto Rovazzi prende posizione su temi scottanti: è contrario a quegli atteggiamenti autodistruttivi che i giovani di ogni decade mettono in atto per esprimere il loro sentimento di ribellione: lui ci insegna che l'anticonformismo può passare per altri canali. Concetto, tra l'altro, già espresso da Fedez in una canzone che qui viene elegantemente citata (Faccio brutto, ndr).

Col trattore in tangenziale
Andiamo a comandare
Scatto foto col mio cane
Andiamo a comandare
In ciabatte nel locale
Andiamo a comandare
Sboccio acqua minerale...

Ed eccoci al fulcro del tormentone dell'estate, l'inno all'anticonformismo che ha infiammato le piste da ballo negli ultimi 4 mesi, il manifesto del partito fancazzista e molto, molto di più. Il trattore in tangenziale è una chiara metafora delle contrapposizioni più interessanti del nostro tempo: lentezza/velocità, campagna/città, lavoro/ozio, utilità/status symbol...senza contare che si cita en passant anche il giallo di Avetrana, uno dei casi più inquietanti degli ultimi palinsesti. Il riferimento alle foto con il cane, invece, può essere letto come un invito al rispetto per gli animali: un monito a non abbandonarli per strada durante l'estate. Ricordiamoci che gli animali non hanno nessuna colpa e checché se ne dica...né cani e né porci hanno mai inciso hit dell'estate! Le ciabatte nel locale rappresentano la rivendicazione della propria individualità, la non accettazione alle regole del buon o del malcostume. Qui si prende posizione sull'attuale questione burkini e lo si fa a favore della libertà del singolo e di un sano rapporto con il proprio corpo, non vincolato a questioni religiose o di genere.Sull'acqua minerale...beh che dire? è un'evidente provocazione: una critica a tutti quei servizi dedicati dai telegiornali mediaset alla problema della sopravvivenza alla calura estiva. Insomma, Rovazzi fa un vero e proprio riassunto della contemporeneità che utilizza globalizzazione e disinformazione per poter "andare a comandare".


E ho la testa che gira, come il kebab
Spengo la musica dentro il tuo club

 A rafforzare quanto detto finora, si aggiunge la bellissima immagine del kebab che diventa metafora di un pianeta che gira se stesso senza requie e che spera di salvarsi dall'autodistruzione.

"Rovazzi, ma che cazzo fai!?"

 Ecco, al di là di quanto detto finora...direi che questo è esattamente quello che ci chiediamo un po' tutti.

lunedì 8 agosto 2016

EPISODIO 18 - E CHI SE NE FREGA - Marco Masini

Alla fine dell'episodio speciale sulle cover italiane imbarazzanti di brani internazionali, ho constatato che tutti hanno sentito la mancanza di un brano in particolare. Il brano in questione io l'avevo menzionato in una sorta di Antinferno della classifica vera e propria e questo perché avevo dato per scontato che nessuno di voi avrebbe voluto nuovamente imbattersi in questo pezzo....e invece no: tutti a dirmi che in fondo un posticino se lo meritava, che non ho voluto dedicargli una posizione perché avevo paura della sfiga ecc ecc. Beh, ricordatevi che io ho cercato di avvertirvi e di evitarvi questa agonia, ma che -d'altra parte- non mi sono mai arresa di fronte a nulla. Detto ciò, se segnalare canzoni brutte è un compito abbastanza facile io ho aperto questo blog per lanciarmi in una sfida assai più ardua: tentare di analizzarle e comprenderle, è uno sporco lavoro e non è assolutamente detto che qualcuno debba farlo, ma CHI SE NE FREGA.


E chi se ne frega è una cover dell'arcinoto brano dei Metallica: Nothing else matters: tanto amato da almeno tre generazioni di chitarristi alle prime anni per via di quell'intro che poteva essere suonato prima ancora di imparare gli accordi. Questo brano viene incluso in uno dei dischi meno fortunati di Marco Masini: Uscita di sicurezza, pubblicato nel 2001 e, sebbene abbia rovinato la vita a Masini, è opera nientepopo'dimenoche di Giancarlo Bigazzi. Molti miei coetanei potrebbero non provare particolari emozioni al leggere cotanto nome e questo perché, purtroppo, noi italiani non abbiamo memoria storica e non tributiamo abbastanza onori a chi li merita. A Bigazzi dobbiamo una grandissima fetta della musica italiana: non solo ha fatto parte degli Squallor, gruppo che - spero- non ha bisogno di presentazioni e commenti, ma ha anche collaborato alla stesura di testi cardine della storia della canzone nel nostro Paese. Citiamo en passant titoli immortali quali: Luglio, Lisa dagli occhi blu, Rose Rosse, Ti amo,  Montagne Verdi, Erba di casa mia, Gloria, Non amarmi, Gli uomini non cambiano...insomma se vi viene in mente una canzone italiana di un certo successo, molto probabilmente c'è lo zampino di Bigazzi. Beh questo era solo per dire che nel mondo delle canzoni brutte bisogna sempre stare sul chi va là, perché non ci si può fidare proprio di nessuno. Ma bando alle ciance. Eccola:


Lo so che il tempo lo sa
che siamo nascosti qua
in fuga dalla realtà
ma chi se ne frega.

La strofa è tenuta insieme dalla rima tronca in a e dall'uguaglianza sillabica dei primi tre versi. Il senso è ancora chiaro: l'autore è in compagnia di qualcun altro e i due cercano un rifugio, un'evasione della realtà. Sono, però, consapevoli che prima o poi il tempo (il mondo reale che obbedisce alle leggi della logica e del fluire del tempo) impedirà la loro fuga.

L'iguana dei passi tuoi
il tuo inguine di viva orchidea
dove annegano gli occhi miei
e il tempo si ambigua.

Venendo meno la rima (è molto debole perché richiamata in modo alternato solo dalle vocali finali), la strofa ha bisogno di un suono allitterante per tenersi insieme e l'autore opta per la G gutturale, obbligandosi ad utilizzare termini come iguana/inguine/annegano/ambigua. Ma questi termini sono lì a caso? Solo per discutibili ragioni stilistiche? A primo impatto sembrerebbe di si. Tuttavia potremmo fare uno sforzo interpretativo e leggere queste frasi riallacciandole alle descrizioni che nell'alta poesia si fanno della donna amata: non è inusuale che la tradizione poetica accosti alle figure femminili immagini animalesche (un esempio su tutti: A mia moglie, Saba) o vegetali (basti citare La pioggia nel pineto, D'Annunzio). Questo perché la donna rappresenta per molti poeti un simbolo della natura,  sia nel suo aspetto materno e rassicurante, sia in quello erotico e selvaggio. Ciò non toglie che quel tempo che si ambigua (lo stesso tempo che nella strofa precedente lo sapeva) continua a lasciarmi perplessa, ma forse è una speranza: se riuscissimo ad ingannare il tempo, potremmo restare fuori dal mondo.

 Io da qui non mi muovo più
abbracciato a una croce, tu
mentre il sole riallaga il blu
e chi se ne frega

Questa strofa (rima baciata in u accentata) confermerebbe l'interpretazione di quella precedente, ribadendo il concetto: le donna amata potrebbe rappresentare per il poeta l'unica strada percorribile per restare in questo limbo di irrealtà nonostante il sopraggiungere dell'alba (il sole riallaga il blu).

Voglio quello che vuoi tu
voglio il tempo che non ho
e l'avrò

Il tempo è l'elemento ricorrente del brano: prima rappresenta il problema da cui scappare, l'ostacolo da superare...per poi accorgersi che se ne ha bisogno ma che ci vuole più coraggio a cambiare la realtà che a sfuggirla.
il tempo ai cani e la polizia
spara ansia e dietrologia
fà che insegua la nostra scia
e chi se ne frega

L'immagine del tempo che rincorre assume maggiore concretezza: ora è rappresentato come una squadra di polizia con tanto di segugi, pronti a chiedersi il perché del loro sconsiderato gesto di fuga, ma senza capirlo veramente (ansia e dietrologia). Ma i due non sembrano preoccuparsene troppo.

Io da qui non mi muovo più
neanche se te ne andassi tu
su quest'erba che guarda in su
e sembra che prega.
Voglio quello che vuoi tu
voglio quello che vorrai
voglio vivere di più
voglio il tempo che non ho 
e l'avrò

Ora...io ci metto tutta la buona volontà: ci provo a prendere un testo che parla di iguane, orchidee e cani poliziotto e a renderlo credibile come testo poetico, ci provo a dare un senso alle simbologie oniriche, a contestualizzare i deliri da LSD di un paroliere che segue i metodi di lavoro di uno sceneggiatore de I Griffin, io ce la metto davvero tutta. Poi arriva un prega al posto di un preghi e vedi con lampante chiarezza l'assoluta vanità di tutti i tuoi sforzi. Forse è tutto un equivoco: forse quello da cui il poeta sta scappando me di cui ha bisogno non è un tempo, ma un modo: il CONGIUNTIVO!




domenica 12 giugno 2016

EPISODIO SPECIALE (2a PARTE) - COVER IMBARAZZANTI

Per festeggiare il superamento delle 10000 visualizzazioni ottenute dal mio blog, eccovi la vetta della classifica delle cover italiane più imbarazzanti della musica internazionale. L'episodio della scorsa settimana ha suscitato non poche perplessità...ma ora bisogna davvero fortificare gli stomaci. 
ATTENZIONE: l'autrice della seguente classifica non ha alcuna responsabilità penale circa gli effetti della lettura. In caso di crisi epilettiche sospendete immediatamente l'ascolto e contattate il vostro medico di fiducia.

5) MINO REITANO - DOLCE ANGELO

Un dolcissimo Mino Reitano reinterpreta la canzone-manifesto dei The Rubettes: Sugar Baby Love. Ad essere sinceri la versione di Reitano fa sorridere ma non è esattamente ridicola, però in questa classifica ho eletto questa versione di Mino a baluardo di tutti quei motivetti che erano accattivanti e giovanili nelle versioni anglo-americane e che in Italia diventano un tripudio di "uacciuuariuari", senza riuscire a rinunciare alle melodie tradizionali e alle voci rassicuranti. 



FRASE CULT: uacciuuariuari

4) GATTO PANCERI - ALLA PROSSIMA

Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 sono nata io e una bellissima canzone dei The Cure: Lullaby, che raccoglie influssi rock, venature punk, aggressività elettrica e poesia gotico-grottesca. Tutte cose che ritroviamo nella versione di Gatto Panceri. Devo essere sincera: la canzone di Panceri non è orribile in sé...ma se pensiamo alla canzone e alle atmosfere che l'hanno ispirata, direi che la quarta posizione se la merita tutta.  


FRASE CULT: Alla prossima menata che mi fai, ormai lo sai, non ci casco più.


3) CRISTIANO MALGIOGLIO - TOGLIMI IL RESPIRO

Era il 1986 quando uscì nelle sale Top Gun, e mentre gli uomini si innamoravano degli occhiali a goccia e le donne si innamoravano di Tom Cruise, Malgioglio si innamorava di Take my breath away, colonna sonora del film firmata dai Berlin. Questo è il risultato.


FRASE CULT: Scioglimi col cuore tutto il mio sudore in più.


2)  GLEZOS E GLI UFO - PIOGGIA VIOLA

Prince se n'è andato e non ritorna più. Spero si sia addormentato serenamente, senza aver mai ascoltato questa versione della sua Purple Rain, dedicata al tema della friend-zone.


Mi sento di suggerirvi anche quest'altra versione in cui il Piero Scamarcio della già citata serie "Il Polpo" (vedere episodio 17- Enza) aggiunge un tocco neomelodico:



FRASE CULT: Non volevo essere il tuo amante di finesettimana

1) CARLA BONI & FRIENDS - MATTONI NEL MURO

Ho pensato per giorni a come avrei potuto commentare questa versione di Another brick in the wall e ho deciso che nulla sarebbe stato opportuno. Godetevi la regina indiscussa di questa classifica.


FRASE CULT: Maestro lascia i bimbi in pace dopotutto siamo dei mattoni nel muro

domenica 5 giugno 2016

EPISODIO SPECIALE (1a PARTE) - COVER IMBARAZZANTI

In ogni blog di musica trash che si rispetti, DEVE esserci una parentesi dedicata al mondo delle traduzioni - fatte da interpreti italiani - di brani internazionali. Ovviamente la traduzione in sé è un'operazione assolutamente lecita: può essere un dignitoso omaggio ma anche uno strumento attraverso cui far interiorizzare agli italiani (un po' pigri) la musica d'oltralpe. Penso ad esempio a Pregherò di Celentano, che rievoca la Stand By Me di Ben E. King, o anche alla Mina di E' l'uomo per me, che coverizza He walks like a man, cantata in originale da Jody Miller, o ancora alla celebre A chi di Fausto Leali, nata da Hurt di Roy Hamilton. Recentemente De Gregori si è dedicato alla traduzione di alcuni brani di Bob Dylan; Mia Martini, da sempre fan dei Beatles, si lanciò in numerose traduzioni - alcune molto belle - dei loro pezzi, godendo in qualche caso anche della collaborazione di Franco Battiato; un'altra grande donna della musica, Caterina Caselli, si è sempre divertita a riproporre mitici brani della storia del rock mondiale. E potrei continuare a lungo: la musica italiana degli anni '50/'60/'70 ha spesso trafugato e riproposto con intelligenza ed entusiasmo dei brani stranieri, portando in Italia suggestioni Rock e Pop e contribuendo al miracolo del Beat e del Prog... ma bando alle ciance... non siamo mica qui per parlare di bella musica! Dicevo: non ho assolutamente nessun pregiudizio nei confronti delle traduzioni...ma qui ho raccolto per voi delle cose assolutamente raccapriccianti che potrebbero cambiarvi la vita per sempre. Ovviamente ce ne sarebbero tante da aggiungere alla lista, ma ho scelto di omettere le più conosciute e già abbastanza vituperate, come ad esempio l'approccio di Masini ai Metallica (l'iguana dei passi tuoi, il tuo inguine di viva orchidea dove annegano gli occhi miei e il tempo si ambigua - E chi se ne frega/Nothing else matters -), o quello di Vasco Rossi con i Radiohead o, ancora, Simone che prova a devastare (riuscendoci) i Guns n'Roses. Insomma, tra tante, ho scelto davvero il peggio: ecco la top ten.

10) LUCIANO LIGABUE - A CHE ORA è LA FINE DEL MONDO?

In decima posizione finisce il cantante della mia adolescenza: l'ho amato contro tutto e tutti quando cantava di Walter il Mago, gli ho giurato fedeltà eterna ai tempi di Quella che non sei o Baby è un mondo super...poi però ha copiato l'intro di Sweet Child o' Mine e ha tagliato i capelli. Nei primi anni '90 ci regala una cover di Is the end of the world dei R.E.M. Non si tratta di una cover pessima, infatti il testo rispetta l'atmosfera frenetica, cinica e apocalittica del brano originale...ma l'arrangiamento è a tratti imbarazzante!




FRASE CULT: I puttanieri ci diano dentro, che di là niente ciccia, niente.

9) GIANNI PETTENATI: COME UNA PIETRA CHE ROTOLA

Bob Dylan è stato spesso preso di mira dai nostri connazionali (da qui potrebbe derivare il termine dilaniato: fatto a brandelli). Se neppure il grande Luigi Tenco di La risposta è caduta nel vento riesce a rendergli giustizia, qui Gianni Pettenati (il tipo di bandiera gialla, per intenderci) esagera:



FRASE CULT: Come si sta/ a far la pietra che/ sta rotolando giù?

8) NICOLA DI BARI - DAMMI FUOCO

No, non è un'esortazione, né un consiglio...ma è il titolo dell'omaggio che Nicola di Bari fa ai The Doors... ricordatevi di questa canzone la prossima volta che leggete su facebook o sui diari degli adolescenti delle citazioni improbabili di Jim Morrison.



FRASE CULT: Dammi fuoco e brucerò/ dammi amore e ti amerò


7) LORENZO JOVANOTTI & LUCA CARBONI: O è NATALE TUTTI I GIORNI

Molti ragazzi della mia generazione hanno imparato a suonare la chitarra sulle note di More than words, bellissima ballad acustica degli Extreme. Era veramente difficile da rovinare, eppure due cantanti che io stimo molto, ci sono riusciti...trasformando una tenera dichiarazione d'amore in una Bologna innevata e natalizia.


FRASE CULT:  E intanto noi ci mangiamo i panettoni. Il giorno che è nato Cristo diventiamo più ciccioni.
(e se oltre al panettone, vi va un goccio di spumante, vi rimando all'Episodio 16 con la Gesù Crì di Nino d'Angelo, ndr).

6) WILMA DE ANGELIS - DIMMI DI SI

In pochi anni Lady Gaga ha sconvolto il panorama musicale con l'eccentrità e il gusto per la provocazione...tutte cose che, risaputamente, ha in comune con Wilma De Angelis (di cui io ricordo un programma di cucina). Questa sua esibizione sulle note di Bad Romance è stata - e a ragione - il fenomeno mediatico del 2011. Riviviamo insieme quei momenti magici:


FRASE CULT: Dimmi, dimmelo di si.

E questa è solo la prima metà della classifica...presto scaleremo le inquietanti vette. Eventuali segnalazioni, suggerimenti, commenti, insulti e bonifici sono ben accetti! To be continued.

domenica 8 maggio 2016

EPISODIO 17: ENZA - Gianni Ciardo

L'episodio che vi propongo oggi voglio dedicarlo a Sabrina: un'amica speciale che negli anni mi ha insegnato tantissime cose e alla quale devo l'incontro con questa canzone.Si tratta di un pezzo che è qui soltanto perché nel mondo della musica convenzionale non ha avuto il giusto spazio: secondo me è uno dei brani più belli della musica italiana contemporanea. Siamo nel 1993 e se Rai Uno trasmetteva La Piovra, la pugliese Telenorba proponeva Il Polpo: divertente satira di una fiction con i controcavoli (mica pizza, fichi o Il Segreto). Una delle sigle finali de Il Polpo era Enza.




L'autore è Gianni Ciardo, artista poliedrico (attore, cabarettista, musicista) che ha contribuito a dare lustro a quella magnifica regione che è la Puglia e che nella sit-com interpretava l'affascinante personaggio del Commissario Ciambotto. "Enza" può essere inserita nella tradizione del "planctus", ossia quel tipo di componimento poetico ispirato dal dolore per la perdita di una persona particolarmente importante. Armatevi di fazzoletti e ascoltatela:

E ora cerchiamo di analizzarla:

Ricordo quella sera quando che morì mia moglie
che mi lasciò da solo come la sposa di Ceglie
ero io col brigadiere Saragot e il mio dolore
lei si fece bianca bianca come un frabbicatore
il dottore disse "presto, questo è un caso disperato"
ma poi aggiunse "è proprio morta e se lo prende in faccia al naso"
perché era morta, era morta Enza.

Il lavoro dell'esegeta è un lavoro veramente duro. Se i poeti invocano il sostegno delle Muse, io non posso far altro che affidarmi alla mia curiosità e alla vasta cultura dei miei lettori che spero interverranno nei commenti.  In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte ad un testo che rivendica con orgoglio la sua origine pugliese: il quando che è un regionalismo che riesce, fin dall'inizio, a catapultarci nella semplice e devastante quotidianità del dolore. Anche il tema dell'abbandono viene reso con un'immagine particolarmente folklorica: si menziona, infatti, la "zita di Ceglie", sfortunata sposa di Ceglie del Campo abbandonata sull'altare in epoca fascista da un militare barese. (Gli appassionati di letteratura troveranno imbarazzanti connessioni tra La donna del tenente francese di John Fawles e la zita del militare barese, ma questa è un'altra storia). Se il riferimento al brigadiere Saragot è facilmente spiegabile (si tratta di un personaggio della sit-com), più difficile è, per una calabrisella come me, interpretare quel "frabbicatore": fonti abbastanza autorevoli (un video di adolescenti su youtube) mi suggeriscono che nel barese un frabbicatore sia un muratore o un imbianchino (Cosa che spiegherebbe la similitudine con il pallore dalla defunta), ma attendo indicazioni dagli amici frabbicatori. Questa descrizione ansiogena culmina con l'infausta notizia: siamo informati (o meglio, prendiamo in faccia al naso) della tragica morte di Enza.


Enza, che fine hai fatto?
Enza, perché sei morta?
Enza, sei fredda fredda,
Enza, su dammi adenza, Enza
Vincenza, per fare prima Enza.

L'anafora sul nome Enza contribuisce a creare l'atmosfera di angoscia che ci coglie quando ci rendiamo conto di quanto sia effimero il nostro passaggio sulla Terra. La morte ha privato Enza del suo calore vitale, le impedisce di dare "adenza", dunque di partecipare alle vicende di chi è ancora in vita. Risulta particolarmente struggente il coretto (Vincenza, per fare prima Enza) che ci dà ulteriori informazioni sulla defunta: il suo nome per esteso era Vincenza: il soprannome serviva a risparmiare tempo..ma nessuno poteva immaginare che il tempo non le sarebbe comunque bastato. 

Poi tutti quei parenti giunti per i funerali
svaligiarono le casse che c'avevo di Peroni
"se l'è chiamata Cristo" disse triste quel tuo zio
che se tocca un'altra birra adesso a lui lo chiamo io
il prete chiese a Dio di ospitarti nei suoi cieli
visto che quando eri in vita non ti volevano neanche i cani a te. Enza.

La struttura è quella di una serie di versi liberi collegati da una rima baciata, spesso imperfetta. Quasi a voler sottolineare il nostro umano tentativo di inserire la vita in degli schemi che continuano a sfuggirci.
L'atmosfera di lutto è esasperata attraverso il ricordo dei funerali, episodio devastante per i parenti della povera Enza che sono costretti a rifugiarsi nell'alcool. Il dolore lancinante, però, non annebbia l'acume del Commissario Ciambotto che, da buon tutore della legge, riesce ad accorgersi dell'eccessivo consumo di Peroni da parte di uno zio contrito ma non per questo astemio. Chiude la strofa un riferimento toccante alla misericordia di Dio che accoglie tutti, ma proprio tutti. 



Arrivasti al cimitero dove le vite son segnate
quella sala mortuaria ammnav vambate di cime di rape
il becchino diede al volo quattro colpi con la pala
ti mettemmo sotto terra perché eri una cozzala
ma poi tua madre, quell'ebrea,disse "mo vengo, un attimino"
e andò a fregare i fiori da quel morto tuo vicino
e rimasi con te solo, cercai un verso con la rima
io sto molto meglio mo, di com'è che stavo prima. Enza, Enza.



Il cimitero: luogo del dolore, amato da Foscolo e Pascoli, reso sacro dai cipressi e dalla memorabile scena di Frankenstein Junior assume qui una connotazione familiare, quotidiana: la sala mortuaria restituisce l'odore delle cime di rapa, così tipico nelle cucine pugliesi. Per Ciardo la morte è un evento tragico e quotidiano, che non trasfigura la realtà di una moglie tamarra (cozzala), né di una suocera tirchia e cinica. La morte, per l'angosciato vedovo, non è solo un dolore atroce, ma anche un profondo senso di vuoto che, tutto sommato, si può anche riempire.

lunedì 4 gennaio 2016

EPISODIO 16: GESU' CRI' - Nino D'Angelo

A Natale siamo tutti più buoni - Ricordatevene mentre leggete questo episodio, ndr - dunque la puntata che ho scelto per voi si sposa perfettamente con la calda atmosfera famigliare a base di pandoro e tombolate che si respira in questi giorni nelle case, ma è anche in linea (beata lei, ndr) con quegli ideali di Speranza e Umanità che accompagnano il Santo Natale e i buoni propositi per l'anno appena arrivato. Quando ho aperto questo blog mi ero ripromessa di non inserire brani in napoletano perché, mi sono detta, aprire le frontiere delle canzoni brutte ai Neo-melodici mi ricorda un po' la scena di Tre uomini e una gamba in cui Giovanni vince a braccio di ferro (scena epica, checché se ne dica), ma quando ho ascoltato Il Fragolone di Marco Marfè non potevo tirarmi indietro (Episodio 6) e anche stavolta non posso oppormi al destino.



Leggende metropolitane narrano che il caschetto d'oro fosse molto giovane quando decise di tradurre in lingua partenopea una canzone dei Beatles che amava tantissimo. (Che poi è anche una delle canzoni preferite da Amanda Knox....per la serie:coincidenze inquietanti!). Il testo non è presente in rete quindi mi affiderò al mio pessimo orecchio per la trascrizione e all'aiuto del buon Raffaele Avallone per la traduzione. Dunque fate scorta di fazzoletti e buon cuore e ascoltatela: 



Sta furnenn' u monn'  Sta finendo il mondo
e nisciunu po' fà nent' e nessuno può far niente
dacce tu na mano dacci tu una mano
Gesù Crì Gesù Cristo

Per quanto riguarda la prima frase mi sembra che la lingua napoletana (Patrimonio dell'Unesco, mica cotiche!) renda sinteticamente ma benissimo l'idea dei times of troubles della versione originale. A turbarmi semmai è la nota di rassegnazione (e nisciunu po' fà niente) che non ricordo nei Beatles ma che, a ben pensarci,si adatta benissimo al modus operandi di noi italiani. Quindi la accogliamo volentieri
Parraci d'a strat' Parlaci della strada
addu' a vita nunn'è chesta ccà dove la vita non è questa qua
Dacce n'atra luce Dacci un'altra luce
Gesù Crì Gesù Cristo
L'immagine della strada come metafora di un mondo malato e senza Dio è un patrimonio a cui hanno attinto scrittori e musicisti: dal mirabolante viaggio di Kerouac al Bob Dylan di Desolation Row, ma anche a molte canzoni di De Andrè ( Via del Campo, La Città vecchia). In barba a tutti quelli che hanno da sempre demonizzato (oltre al danno la beffa) questa cover, Nino d'Angelo ha avuto il merito di aggiungere questa sfaccettatura poetica a cui neanche Lennon aveva pensato.
Gesù Crì Gesù Crì       Gesù Cristo, Gesù Cristo
Gesù Crì Gesù Crì       Gesù Cristo, Gesù Cristo
Torna n'atra vota              Torna un'altra volta
Gesù Crì                     Gesù Cristo

Anche quello del ritorno è un topos fertile nella storia tradizione culturale: dal ritorno di Ulisse ad Itaca a quello di Edmond Dantes a Montecristo (Monte-Cristo: altra coincidenza sospetta!). Il ritorno spesso simboleggia un bisogno di Giustizia, una promessa di miglioramento. Purtroppo non sempre le promesse vengono mantenute (Il Marco della Pausini, ad esempio, non è mai tornato), ma il nostro Nino ci ricorda che dobbiamo continuare a sperare.

Dacc' n'ato sole          Dacci un altro sole
dint'o jorn' ca sta ppè venì         dentro il giorno che sta per venire
stappac' o spummant'            Stappaci lo spumante
Gesù Crì              Gesù Cristo



Qui abbiamo un'annosa questione da risolvere. Io mi rifiuto di credere che il nostro chieda davvero a Gesù di stappare una bottiglia. Cioè...ok che Cristo ha qualche precedente con il vino, ma quella del tappo di spumante che fa il botto non mi sembra un'immagine particolarmente biblica. Eppure gli affidabilissimi padiglioni auricolari dell'Avallone suggeriscono questa interpretazione. A voi tutti (partenopei o meno) chiederei di scrivere nei commenti qual è la vostra interpretazione...quindi ascoltate attentamente!

Salva sti criaturi           Salva questi bambini
a sti mamme         da queste mamme

stendime na mano        Stendimi una mano
e lassali accussì             e lasciali così

Gesù Crì                          Gesù Cristo
Anche in questa strofa c'è qualcosa di strano: perché Gesù dovrebbe salvare i bambini dalle mamme? Sarà una critica alle donne comuniste? sarà un vaticinio sulla Franzoni? Sarà la speranza di un bambino che voleva emanciparsi dai genitori? (ricordiamo che Nino era molto giovane ai tempi della traduzione...o almeno così si è giustificato negli anni per questa sua creazione). Forse queste domande resteranno senza risposta. O forse no...noi quel ritorno lo aspettiamo ancora!